15 Agosto 2019. Ore 13:45. Hotel Venere. Stanza 243. Mugnano di Napoli.
Plin. Plin. Plin. Con regolare cadenza le gocce del rubinetto nel bagno si infrangevano sul lavabo. Plin. Plin. Plin. Seguiva solo il silenzio. Aprii gli occhi lentamente ancora frastornata, stordita, quasi incosciente.
I miei polsi erano legati alla spalliera del letto, la bocca coperta da uno strato di scotch largo sovrastato da un bavaglio fatto con un foulard di seta color magenta.
Nuda con indosso solo le mie mutandine bianche calate fino alle ginocchia e il resto in terra sparpagliato attorno al letto.
Sudata al punto che i miei capelli biondi in parte bagnavano il cuscino e in parte si appiccicavano tra la fronte e le guance. Inetta. Incapace di muovere il mio corpo.
Mi guardavo intorno con gli occhi aperti a metà.
Come ci ero finita lì, per mano di chi e perché?
Avevo bisogno di svegliare il mio cervello, i miei ricordi, di ricostruire tutto ciò che era accaduto nelle ultime ventiquattro ore. E così feci.
Il giorno prima mi ero recata alla buon'ora da Alessandro, il ragazzo con cui stavo insieme da tre anni. Ci presentò un amico in comune una sera di giugno sul lungomare di Mergellina e da lì era seguito un corteggiamento come quello di altri tempi e poi la scelta di cominciare a frequentarci, a stare insieme.
Alessandro era un ragazzo serio, affascinante, dall'aria un po' nerd e vicino alla laurea in Filologia Moderna presso la Facoltà degli Studi di Napoli “Federico II”.
Mi perdevo nei suoi discorsi, nel suo modo di usare le parole, di metterle insieme in maniera curata, ognuna al suo posto come i pezzi di un puzzle, affascinata nello stesso momento dalla sua capacità di mescolarle, metterle in disordine per crearne altro equilibrio, altra armonia.
Alessandro viveva da solo in un monolocale dei genitori a Via Tasso e quella mattina ero andata da lui per ultimare i preparativi per il falò che stava organizzando con i suoi amici storici e che ci sarebbe stato la sera stessa sulla spiaggia di Licola.
Era seduto al tavolo girando il suo caffellatte quando, famelica, provavo in tutti i modi a provocarlo.
Mentre si accingeva a bagnare il primo biscotto nella tazza continuando ad elencare quanto ancora c'era da fare, io scivolavo sotto il tavolo, inginocchiandomi a pecora alla ricerca della patta dei suoi pantaloncini.
“Fai la seria, Amelia! Stamattina no, abbiamo da fare.” - brontolò.
Ma io ero già poggiata sui suoi slip. Ci sfregavo contro con il naso e intanto con la lingua mi facevo spazio partendo all'altezza delle sue palle.
“Poco, poco.” - miagolai da gatta in calore aiutandomi con le mani per calare quegli slip così da avere il suo cazzo in faccia.
“Ti ho detto di no, vieni fuori da lì!” - mi rispose scocciato alzandosi bruscamente dalla sedia. “Sei la solita, pensi solo ed esclusivamente a scopare. Ma è possibile che non pensi ad altro? Oggi non è giornata per questo, abbiamo tremila cose da fare, per favore.”
Mi alzai celere dal pavimento e gli andai incontro.
“Tu ti sei stufato di me. Non ti piaccio più. Dimmelo.”
“Amelia. Ieri sono venuto quattro volte con te. Quattro. Per favore, almeno oggi, sii lucida.”
“Sii lucida”. Me lo ripeteva ogni qualvolta io palesassi il mio maledetto e costante bisogno di essere scopata e lui, invece, non aveva voglia.
Sì, solo in quei momenti, perché quando la voglia l'aveva lui la mia mancanza di lucidità diventava lo strumento per i suoi sfoghi, per le sue perversioni, le stesse che in quei momenti lo spogliavano dall'aria di ragazzo perbene per lasciare spazio agli abiti di porco insaziabile.
“Ti diverti a farmi sentire un'aliena!?!” - gli urlai contro – “Sai quanti vorrebbero stare al tuo posto? Sai quanti?”
“Amelia!” - mi interruppe con tono deciso. “Io non sono un pervertito! Ora facciamo che io esco e mi occupo delle ultime cose per stasera e tu resti qui, magari ti fai una doccia fredda e quando torno pranziamo insieme, ok?”
Mi lasciò così chiudendo la porta alle sue spalle. I miei pensieri furono interrotti da una notifica del mio cellulare. Telegram. Mister X.
“Mia amata LadyQ stamattina non hai dato il buongiorno nel gruppo mostrando il colore delle mutandine di oggi. Quasi mi manca, anzi mi manca. Magari posso meritarla anche qui da solo in privato la vista di ciò che indossi in questo momento. Guarda al solo pensiero come sono già duro.” e in allegato la foto del suo cazzo in erezione.
Mi morsi il labbro inferiore e cominciai quasi per inerzia a tirar giù la mia gonna. Spostai con il medio le mie mutandine fucsia e click. Foto inviata. Foto inoltrata al gruppo.
Dopo poco una pioggia di commenti infuocati, infoiati, fautori di un'eccitazione che mi spinse a rifugiarmi sotto la doccia.
L'acqua mi scorreva addosso e pareva di sentirli i loro commenti accarezzare il mio corpo come faceva quell'acqua, aderendo al mio collo, giù ai miei capezzoli mentre le dita della mia mano trovavano rifugio dentro di me.
“Vi vorrei tutti qui, intorno a me, duri e uno dopo l'altro, a turno, penetrarmi, fottermi, venirmi dentro.” Messaggio inoltrato al gruppo. Venire per loro aiutò, in parte, a domare le mie voglie e quando Alessandro tornò qualche ora dopo mi trovò impegnata nell’impiattare gli spaghetti con i pomodorini del Piennolo che avevo preparato per pranzo come la più docile e la più impeccabile tra le fidanzatine.
La sera non tardò ad arrivare. Il nostro falò era uno dei tanti ospitati dalla spiaggia libera di Licola.
Eravamo una ventina di amici e con noi il fuoco, i giochi, le canzoni sotto le stelle, l'odore del mare e bevande alcoliche come se ne fosse pieno il mondo. Tutto perfetto se non fosse stato per la sempre più grossa distanza che percepivo tra me e Alessandro, intento nell'essere protagonista con la sua chitarra dei sottofondi che accompagnavano la serata.
A nulla valevano le mie carezze, le mie mani che cercavano la sua schiena, il suo petto. A nulla. Brilla e sola, cosi ero finita a pensare a quanto non tutto era andato come speravo seduta sul bagnasciuga che distava pochi metri dal nostro fuoco.
“Una Venere bionda che se ne sta da sola senza neanche da bere.” - sopraggiunse uno degli amici di Alessandro sedendosi al mio fianco.
“Tieni, fai due sorsi!” - mi disse porgendomi una Heineken.
“Non sembra che tu ti stia divertendo molto. Pensieri?” - Io tacqui continuando a sorseggiare quanto offertomi e fu lui a continuare.
"È bravo Ale, senza di lui tutto questo non sarebbe stato così perfetto!” - Io annuii con il capo.
“Non sembri tanto convinta.” - aggiunse lui.
Dopo poco sentii la sua mano poggiarsi sulla mia coscia quasi come a leggere la natura delle mie voglie. L'accarezzava. Mi guardava. Bastò poco perché finissimo dietro una delle barche arenate sulla spiaggia, appoggiati sul suo asciugamano, io sopra di lui che spingevo il mio corpo così da sentire il suo cazzo grosso dentro di me e le sue mani che tenevano il mio seno mentre il mio movimento si faceva sempre più celere, bramoso e la chitarra di Alessandro suonava La Canzone del Sole.
Mi venne dentro ed io poco dopo mi accasciai su di lui. Quando mi risvegliai fu il giorno dopo all'Hotel Venere, stanza 243, a Mugnano di Napoli. Ora avevo ricordato e ancora mi chiedevo, imbavagliata e legata, come fossi finita lì.
L'unica spiegazione alla perdita della mia coscienza non poteva che essere la contraffazione di quella Heineken.
Mentre mettevo insieme gli ultimi pensieri sentii la chiave girare nella porta. Eccolo, davanti a me l'amico di Alessandro, di cui non conoscevo neanche il nome.
“Ben svegliata, Venere bionda.” – esordì.
“Stai tranquilla ho inviato io dal tuo telefono un messaggino ad Alessandro per tranquillizzarlo, ma non credo abbia preso bene il tuo allontanamento dalla festicciola.” Si avvicinò accarezzandomi il viso.
“Sai da quanto desideravo averti... LadyQ?”
“LadyQ”. Telegram! L'amico di Alessandro conosceva il mio gioco perverso fatto di confessioni erotiche, videochiamate, foto e video spinti, eccitamento di decine e decine di sconosciuti.
“Stai pensando se ti voglio fare del male? O magari se non ho paura che quando finirà tutto questo correrai a denunciarmi? Naaaa, non lo farai. Ho così materiale su di te che di certo non saresti felice che la tua famiglia e Alessandro sappiano davvero come si comporta la dolce Amelia Ranzi. Sono o non sono uno dei tuoi fan numero uno? Il tuo MisterX. Peccato che non potrai fare pompini con questo bavaglio, ma ci accontenteremo.”
“Ci accontenteremo”. Da quel verbo capii che non era finito il mio incubo e che da me avrebbe voluto ancora altro.
“Come dicevi stamattina nel gruppo?” - prese il telefono dalla tasca alla ricerca del mio messaggio sul gruppo di Telegram.
“Ah ecco: “Vi vorrei tutti qui, intorno a me, duri e uno dopo l'altro, a turno, penetrarmi, fottermi, venirmi dentro. Sei sempre stata maledettamente cagna. Ora il tuo devoto MisterX ti benda e sì che trascorrerai un bel Ferragosto. Immagina avrai quello che hai sempre desiderato. Salirà a turno qualche mio caro amico, giusto il tempo di svuotarsi dentro di te. Tranquilla ne sono solo una decina, tanto ti piace, no?”
Condividi questo racconto: