Per ogni generazione c’è un momento in cui ogni certezza diventa polvere e ciò che è umano sembra svanire con un alito di vento. Sadiq aveva appena vent’anni; i segni sul volto, dopo un lungo viaggio in solitaria a piedi nudi verso le coste del Mediterraneo, gliene regalavano dieci.
Lavorava per la polizia libica e non si poteva rifiutare. Il suo compito era quello di recuperare dal mare i cadaveri dei migranti che morivano durante i naufragi. Non si emozionava più tranne che per le donne che erano visibilmente in gravidanza o per i bambini.
Ed aveva accettato questo strazio solo per lei, Keira, diventata donna da una dozzina di mestrui, prima ed unica amante, e per Hiba, la figlia che portava in grembo. Il suo lavoro terminava al tramonto, quando i volti diventano il volto di tutti.
Nessuna morte riusciva a cancellare il sorriso che ogni sera lasciava intravvedere la dentatura bianca solo per il fatto di non averle trovate nelle acque della costa.
Ma la speranza è come un bicchiere colmo d’acqua, prima o poi evapora tutta.
Dopo quasi quattro mesi, Sadiq decise di fuggire verso l’Algeria, poi il respingimento da questo paese, ed infine, con una marcia forzata nel Sahara nigerino, fino ad Agadez, in un campo allestito per i rifugiati in fuga dalla Libia. È un uomo che ha perso tutto. Ha perso la donna amata e la figlia. In attesa di riconoscimento venne portato in una stanza per ricevere le prime cure.
Sadiq e Keira erano fuggiti dal Darfur, dove il loro villaggio era stato distrutto e parte della loro famiglia sterminata. Erano due angeli il cui vento del Sahara aveva tornito il corpo e la sabbia levigato la pelle.
Durante la fuga verso Nord insieme ad una sparuta carovana di disperati, appena varcato il confine con la Libia, furono fermati da militanti del Daesh, e tutte le giovani donne furono rapite per essere rivendute ai mercanti di schiavi ed essere spedite verso il mercato italiano della prostituzione.
Furono strippate come vacche da monta su un rimorchio senza copertura, insieme ad una decina di maiali, qualche pecora e un cane pastore, violate nella dignità da un combattente di Allah di appena diciassette anni, Rashad.
Durante la coda per essere caricate, a turno, il servo di Dio agganciava, col mirino del fucile rivolto verso terra, il colletto della tunica improvvisata e, slabbrandolo, la fece scivolare sulle spalle, andando a scoprire i seni dimenticati dal tempo e dall’ombra, lucidi com’è lucido il legno appena intriso di olio.
Poi a comando dovevano sollevarsi la tunica, andando a scoprire delle vagine glabre o con piccole oasi di pelo che solo il deserto ci sa regalare, scure come la pece e rosate quando la punta del calcio dell’arma andava a stuzzicarle per tastarne la turgida giovinezza, ma che già da tempo custodivano con dedizione la grandezza dell’Africa e golosamente il suo seme.
Tutta la gratitudine che Rashad anelava per l’onnipotente si palesava turgida fra le gambe, ma le promesse vergini del Paradiso erano una ricompensa ben più ghiotta, la loro pelle non meritava se non la rovente canna del fucile, carica di morte come i suoi coglioni.
Arrivò anche il turno di Keira; da fiera madre si era già abbassata la tunica, scoprendo il seno ingrossato e rigonfio di latte. Non piangeva. Sadiq e gli altri uomini erano stati bendati e legati per i piedi. Con una mano delicatamente reggeva il ventre mentre con l’altra sollevava la gonna scoprendo il suo frutto.
Fissava negli occhi Rashad che le si avvicinò, estrasse dalla fodera uno stiletto berbero e, sputando sul manico, glielo spinse fra le gambe affondandolo senza esitazione e facendole intendere che il suo valore sul mercato sarebbe stato il doppio.
Keira non si mosse. Non pianse. Le lacrime dei suoi occhi non avrebbero mai nutrito l’aridità di spirito di Rashad. Era solo un povero uomo impotente.
I combattenti partirono, lasciando gli uomini nel deserto e portando con se le donne verso i moli clandestini lungo le coste ancora più a Nord.
Il bestiame doveva essere recapitato ad el Giof, dove un gruppo di mercanti avrebbe acquistato le donne. Rashad era seduto al volante del fuoristrada, mentre Ayman, un giovane cecchino armato fino ai denti sedeva in un angolo del rimorchio a guardia delle bestie.
Il rimorchio procedeva sul suo tragitto durante la notte, Keira stava sdraiata in posizione fetale sulle assi in legno del mezzo, fissando insistentemente il volto di Ayman, un volto brunito dal sole ma con una macchia circolare ancora più scura al centro della fronte, segno di una fervente devozione.
Appena lui si accorse del suo sguardo, lei lo posò fra le gambe del timorato. Ayman strinse le gambe e distolse gli occhi, ma lei rimase imperterrita nel suo intento, gli fissava il cazzo, con difficoltà celato dalla tela dei pantaloni militari.
Mentre tutte dormivano spossate dal caldo umido, Keira, sempre distesa, scoprì un seno, lui senza voltarsi con la testa lo scrutò con la coda dell’occhio.
Allah non avrebbe permesso alcun cedimento, ma il cazzo non sembrava avesse letto alcuna Sura ed al contrario, si ergeva dritto evocando la sua presenza come un minareto fa da lunghe distanze.
Affaticata da una gravidanza avanzata, strisciò verso il giovane; le si parò di fronte, ventre a terra ma con le mani distese per tenerne inarcato il busto ed esponendo il suo seno colmo sotto il suo sguardo.
Si mise in ginocchio di fronte ai piedi di lui che ancora teneva le gambe distese, come a voler tenere le distanze. Keira gli afferrò le caviglie e le tirò con forza ai lati dei suoi fianchi, facendolo distendere fino a che i suoi coglioni non le sfiorarono le ginocchia.
Ayman, consapevole del peccato, tuttavia non si mosse ma, per pudicizia arcaica, distolse lo sguardo.
Con le dita affusolate si getto tra i bottoni sotto la patta dei pantaloni e, lasciando chiuso il più alto, affondò la mano destra nella tana della iena afferrandone il collo, il pollice non riusciva a ricongiungersi al medio, e ritraendola tentò di portare allo scoperto la bestia, che restìa ad uscire allo scoperto, si contorse in una curvatura improbabile facendo strabuzzare gli occhi del suo padrone dal dolore.
Vittima di una circoncisione mal riuscita che la incurvava leggermente di lato, la bestia era degna di tale nome. Scura e slargata alla base, si rastremava verso l’alto, chiudendo il gioco con una carnosa cappella fungina, screpolata dalle intemperie, non certo per una scarsa igiene.
Sollevandosi la tunica sino al collo ed adagiandola sulle spalle in modo che non ricadesse, Keira avanzò di un passo sulle sue ginocchia, sedendosi a peso morto sul cazzo di Ayman e ciondolandosi sopra come un arrotino nell’atto di affilare il suo coltello.
Era confusa, la figa comincio a colarle come la bocca di una monella e provò tanta vergogna al pensiero che potesse accaderle. Ma mai e poi mai avrebbe svenduto ciò che apparteneva esclusivamente al suo amore Sadiq e né tantomeno la bocca, in memoria dei suoi baci. ‘Basta pensarci!’
Afferrò la verga a mano piena, e sollevandosi di mezza spanna sulle ginocchia, andò a puntarselo sull’apertura delle sue prominenti terga, e, con una lenta ma continua discesa, tentò di aprirsi un varco verso le interiora, ma niente, l’anaconda del deserto, bramoso di un caldo riparo, si dimostrò restìo.
La donna non si arrese, e come se dovesse espellere qualcosa dal corpo, iniziò a spingere tentando di divaricare lo sfintere per agevolare l’ingresso del cazzo, trattenendo il respiro e strizzando gli occhi in attesa di un imminente dolore.
Ma niente ancora!
Il carceriere, ansimante dalla bramosia di violare la vacca, con una mano afferrò un sacchetto di liuta dove al suo interno conservava il grasso per gli ingranaggi del fucile.
Ne spremette due dita sulla mano sinistra, se lo cosparse in modo approssimativo sulla cappella, poi col pollice della stessa si insinuò vigorosamente all’interno della figa mentre con le altre tre dita centrali raccolte volutamente ad arpione iniziò a violare il deretano che non opponeva più resistenza, ma che assecondava il gesto con movimenti circolari come per voler prendere confidenza con l’intruso.
La donna incominciò a cavalcare gentilmente la mano di Ayman, lei che spingeva verso il basso e lui che affondava verso l’alto, in perfetta sincronia, divorandogliela come un pitone affamato ingoia un furetto e preparandosi a dare ospitalità al suo cazzo ormai scalpitante.
Keira aveva fretta. Il suo piano era ben premeditato. Facendo attenzione al suo ventre prominente, spodestò la mano del ragazzo dal suo culo appena slargato e, prima che questo ne perdesse memoria, prese il suo cazzo a due mani e ci si sedette sopra lentamente contrastandone la discesa con le mani poggiate sul pavimento, ma assaporandone dolcemente il suo aumentare di spessore fino a percepire la sua ispida peluria alla base.
Lì si fermò e, col ventre adagiato su quello di Ayman, gli supplicò con gli occhi di stare fermo, ne aveva bisogno, il dolore di uno strappo imminente le stava lacerando l’animo, e lui, come per volerla aiutare, con una mano la avvolse dolcemente a sé mentre con l’altra le divaricò meglio una natica in modo che il dolore andasse scemando in modo naturale.
Il cazzo era completamente dentro. Keira lo sentiva fin le viscere più profonde, il suo calore, il suo battere del cuore fin la gola, il suo nemico era dentro.
Sedeva sul basso ventre dell’aguzzino, e con leggeri movimenti circolari dei fianchi lasciava che la verga la esplorasse dall’interno, mentre con una mano gli teneva delicatamente le palle, maneggiandole come era solito sgranare il rosario il prete del suo villaggio.
Era la prima volta per Ayman, non aveva mai impalato una donna prima, quella sensazione di poterne fare qualunque cosa, anche di alzarsi e continuare a tenerla infilzata come una triglia all’amo.
La afferrò per i seni come per volerla sostenere mentre lei, confortata da quell’appoggio vigoroso e sicuro, cominciò a far ondulare il bacino dal basso verso l’alto e viceversa, prodigandosi di massaggiare la bestia in tutta la sua lunghezza, prima lentamente, lasciando che il lubrificante si diffondesse col calore della pelle.
Ad intervalli regolari permetteva alla grossa cappella di uscire allo scoperto, producendo un tonfo sordo come lo stappo di una bottiglia e, come a prendersi gioco di lei, la lasciava poi premere insistentemente contro le terga contratte, bramosa di voler rientrare nel fodero, per poi rilassarle, facendola così riscivolare al suo interno e, prima che si rifondasse nelle profondità del piacere, la tratteneva in superficie tenendola ben stretta con una leggera contrazione dello sfintere e cullandola con laterali movimenti ondulatori.
Keira, quello che non avrebbe mai fatto con la bocca, glielo stava facendo col culo, per poi rifondarsi in modo vigoroso in un’intensa fellatio anale, senza tregua, su, giù, su, giù, incessantemente, una velocità apparentemente costante, un culo mangia cazzo a compressione, che aumentava gradatamente il suo ritmo assecondando le espressioni di piacere sul viso dell’aguzzino.
Su e giù senza tregua, con colpi di basso ventre vigorosi verso il pube dell’uomo, come per volergli sfondare il bacino.
Ayman cominciava ad avere il fiato corto, il suo sguardo era perso e confuso, batteva le palpebre in modo confuso, contraendo le labbra in un pertugio da cui usciva un sibilo simile a quello di un toro poco prima di sferrare l’attacco decisivo.
Puntò le sue mani sotto le cosce della donna e con una forza sovraumana che solo il fuoco della passione sa dare, la sollevò da terra tenendole il culo fermo come fa il pastore al culo di una vacca da monta prima di impalarla col braccio per renderla fertile.
Due corpi che battevano l’uno contro l’altro, lui verso l’alto, con colpi violenti e repentini, lei verso il basso, smorzando con le sue natiche l’eccessiva violenza del cazzo che cominciava a sentire rovente dentro.
Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap! Flap!
Lo scontrarsi dei due corpi pareva il rumore di due grosse mani in un intenso applauso.
Ayman comincio ad affondare le sue unghie consumate sulla pelle di Keira che si morse un labbro, resistendo al dolore percepito a fatica a causa dell’imminente orgasmo. I due corpi continuarono a battere fra di loro ad un ritmo accelerato, svegliando tutte le bestie del rimorchio.
Le assi di legno tremavano sotto il loro peso, fi quando Ayman con l’ultimo colpo di cazzo sferrato violentemente fra le cosce di Keira, poggiando la nuca sul pavimento e ripiegando la testa verso il retro, si blocco a mezzaria completamente inarcato e sfogandosi con un urlo soffocato prontamente dalla donna con una mano, lasciò che il terremoto cessasse con una eruzione lavica di sborra all’interno delle viscere della puttana, dieci secondi di inseminato caldo, accompagnato da circa una decina di scariche di assestamento scandite da spasmi incontrollati del bacino.
Keira, contagiata dal calore eccessivo, si lasciò abbandonare in un orgasmo controllato, contrasse ogni muscolo del suo corpo per tenere il suo godimento a tacere, forse il primo intenso della sua breve esistenza.
E si abbandonò di peso sul petto del combattente, immemore della vita che portava dentro, per poi lasciarsi rotolare di lato al ragazzo, sfilandosi dal culo il cazzo, che, dimenticato il vecchio tergore, conservava ancora una certa presenza.
Keira era spossata, si lasciò abbandonare su un fianco, priva di sensi. Dal suo culo ancora semi aperto, colava un fluido bianco e denso; si faceva strada verso il basso tra il letto delle grandi labbra per riversasi sulle assi di legno, formando un piccolo laghetto.
Si riprese subito, complice il cane pastore che dopo essersi abbeverato nella pozza fra le sue gambe, comincio a leccarle la figa con la sua lingua rasposa.
Keira si riprese, allontanò il cane con la gamba. Si voltò verso Ayman che, fissando il cielo, sembrava essere completamente assente. Con l’ultimo barlume di forze, la donna si girò sull’altro fianco e avvicinò la bocca all’orecchio del giovane.
“Da questo momento non sarai più il nostro aguzzino”.
Ayman si voltò a guardarla negli occhi. Era la prima volta che il timore di una donna soverchiava quello divino.
“La cicatrice che hai sul cazzo… è tanto dolorosa quanto unica! Quale Paradiso ti attenderebbe e quale uomo nella terra di Allah darebbe una casa ad un combattente che ha scopato con una vacca cattolica? Solo la mia morte potrebbe salvarti. Ma io sono un prezioso bottino, ricorda. E valgo anche il doppio!”.
Il sangue del giovane si raggelò.
La prima e unica tappa per abbeverare le bestie era vicina.
Arrivarono a Gialo a notte fonda, unica tappa per un ristoro frugale.
Rashad spense il fuoristrada e avvisò Aymad che sarebbe andato all’accampamento per fare arrivare delle brocche d’acqua.
Nel frattempo il giovane peccatore fece scendere le donne e gli animali dal rimorchio e ordinò loro di organizzarsi per la notte con delle stuoie e di raccogliere la legna secca sparsa per organizzare un fuoco.
La notte era fresca. Mentre tutte erano intente nel loro lavoro, Aymad chiamò in disparte Keira. Le prese la mano e le appoggio la pistola, unta di grasso fresco. Lei rabbrividì, la strinse e se la infilò sotto la tunica.
Infine Aymad slegò il cane, lasciando che corresse libero per il deserto.
All’arrivo di Rashad, Aymad lo avvisò che il cane fosse fuggito e chiese il permesso di andare a cercarlo.
Le donne si radunarono tutte intorno alle fascine di legna raccolta.
Rashad si accovacciò per appiccare il fuoco.
Al suo fianco Keira.
Click!
Bang!
Gli fece saltare il cervello con un solo colpo, pronunciando a bassa voce: “Allah akbar!”.
Erano libere.
...
Entrò nella sala la ragazza addetta al riconoscimento. Sadiq era seduto, gobbo su sé stesso con le mani giunte strette fra le sue ginocchia.
La ragazza, per metterlo a suo agio, gli disse: “Sei fortunato a trovarti qui, quelli come te spesso non vengono più ritrovati.”
“Vorrei essere fra di loro perché sono un codardo, non sono riuscito a difendere l’amore della mia vita, Keira” - rispose in lacrime.
“Come ti chiami?” - chiese la donna.
“Sadiq”.
La donna, temprata dalla storia, pensava di aver dimenticato il mondo e sé stessa, e con lei, ingoiato tutte le sue emozioni per sempre.
Si avvicinò di fronte all’uomo che adesso teneva la testa fra le mani, fissando il pavimento.
Lei si chinò a fatica sulle ginocchia premendo con le mani sul ventre.
“Ciao Sadiq amore mio, io e Hiba siamo vive”.
La speranza è come un bicchiere colmo d’acqua, prima o poi evapora tutta.
Ma a volte piove.
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