Banshee alla scoperta della sessualità - by Amelia Ranzi.

 

Secondo capitolo della vita perversa di Banshee, protagonista reale, e il suo percorso alla scoperta della propria sessualità.

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Banshee prova la sua intimità - by Amelia Ranzi

     Eravamo tutti caduti nel silenzio assordante che seguiva al caos totale che a casa mia c'era stato di lì a poco per l'ennesima discussione violenta tra i miei genitori. Ci ero abituata, io, che ormai in quei momenti mi chiudevo in camera con le cuffie all'orecchio e la musica a palla.

 

     Qualche volta mi era capitato di intervenire quando sentivo l'ennesimo schiaffo di mio padre, o l'ennesima sedia sbattere contro una parete, ma allora ne avevo ricavato solo qualche livido e la completa e totale incuranza.

 

     Mia madre, che tanto sentivo fastidiosa e ingombrante nella mia vita, in quei momenti mi sembrava così incautamente indifesa e insopportabilmente bisognosa di me, della mia presenza, del mio essere dalla sua parte, lei che aveva ricevuto le peggiori angherie da quell'uomo subite “per il bene della figlia”, il mio bene, lei che per quel marito-padrone aveva annullato la sua vita, accontentandosi di essere la casalinga dalla testa china e dal “Sì, Signore!”.

 

     Non avevo un buon rapporto con mia madre e forse proprio perché mi faceva rabbia il suo non riuscire a ribellarsi a quel vocione che la sovrastava ogni volta, a quelle mani che le violentavano la dignità, a quei giochi psicologici che la facevano sottomessa e inconsapevolmente responsabile di tutto lo spazio della sua vita che aveva permesso che mio padre si prendesse.

 

     Era da un po' che quando accadeva che litigassero iniziavo ad essere presa da un'ansia inspiegabile, una specie d'attacco di panico che mi faceva sudare la fronte e le mani. Anche quella sera accadde e avevo solo dodici anni. Avevo bisogno di colmare quell'ansia, quella sensazione di essere dannatamente sola, in bilico con la voglia di un qualsiasi equilibrio.

 

     Dalle cuffie mi arrivava “Estate” dei Negramaro. Sdraiata sul letto, sento il telefonino vibrare. Un sms ricevuto da un numero che non conoscevo:

     “Perché domani non vieni con me dietro il vecchio campanile del paese? Tuo cugino sono settimane che parla solo di te e non mi basta più incrociarti ogni tanto fuori casa. Fammi sapere. Mattia.”.

 

     Mattia era un amico del liceo di mio cugino Antonio, un ragazzo dai ricci biondo cenere, dal sorriso angelico e qualche lentiggine sulle guance. Dentro di me avevo solo un frullato di instabilità.

     “Domani? Perché non stasera? Non riesco a stare a casa. Che ne dici tra dieci minuti vicino al campanile?”. Messaggio inviato. “A tra poco”.

 

     Non stetti nemmeno più del dovuto a fare attenzione ai dettagli sul mio corpo, un po' di eyeliner sotto gli occhi e un leggero tocco di fondotinta. Lasciai casa senza che i miei se ne accorgessero, con mia madre chiusa a chiave nella sua camera e mio padre sul balcone a fumare il suo amato sigaro toscanello.

 

     Quando arrivai al campanile Mattia era già lì. Per me era un estraneo, l'avevo sì o no visto qualche volta la mattina che aspettava mio cugino per andarci insieme a scuola o qualche pomeriggio a casa degli zii perché con Antonio era solito farci i compiti.

     “Ciao.” - accennò guardandomi.

     “Ciao.” - sorrisi tenendo lo sguardo nel suo. 

 

     Mi prese la mano senza dire null'altro, non ho mai saputo se fosse per un po' di imbarazzo o per foga. Mi portò nell'ala retrostante del campanile, quella coperta da querce e ulivi. Lì rimanemmo per qualche secondo uno davanti all'altro, muti, immobili, fino a quando gli presi la mano e gliela portai sul mio seno.

 

     Lo guidavo nel massaggiarmelo e intanto abbassai la testa portando una delle dita di quella mano nella mia bocca. La sua mano accarezzava lenta il mio seno guidata dalla mia e la mia bocca succhiava il suo indice. Lui mi sfilò la maglietta, dalla fretta non avevo neanche il reggiseno.

 

     Si accorse che i miei capezzoli erano già turgidi. Mise nella sua bocca il mio capezzolo destro. Leccava con cura, desideroso, voglioso, ed io mai prima di allora avevo provato quella sensazione. Misi le mie mani tra i suoi capelli ricci e seguivo il movimento della sua testa impazzendo per quanto riuscivo a godere dalla stimolazione dei miei seni.

 

     Si fermò con ancora la sua saliva sbavante tra le sue labbra e il mio capezzolo. Si ritrasse continuandomi a guardare. Si sfilò la cintura, in silenzio, quasi come a leggere i miei intenti, le mie voglie, i miei sporchi desideri.

 

     Slacciò il primo bottone del jeans… il secondo… poi il terzo, poi li calò. Non portava le mutande… Davanti a me avevo un cazzo turgido, scappellato. Era diverso dal cazzo di Antonio, era circonciso, tozzo, grosso.  

     “Ti va di fare il giochino che hai fatto con tuo cugino?” - mi inginocchiai senza rispondere.

 

     Cominciai a pompare quel cazzo che occupava tutta la mia bocca.  Succhiavo mentre lui mi spingeva la testa sempre più in fondo, fino a provocare conati di vomito e solo allora lo sfilava dalla mia bocca grondante dei suoi primi e timidi fili di sborra mescolati alla mia saliva.

 

     È in quel momento che ne approfittavo per annusare la cappella, sì annusare, sì, perché già dalla volta con Antonio capii quanto annusare un cazzo sarebbe diventato uno dei miei feticismi maggiori. Non era ancora venuto quando improvvisamente si fermò. 

     “Alzati!” - mi intimò. Io non capii fin quando non continuò a parlarmi.

     "Togli i pantaloni, ti faccio provare una cosa nuova." - lo assecondai.

 

     Si avvicinò a me accompagnandomi così che avessi la mia schiena appoggiata al muro del campanile. Mi spostò le mutandine e si sputò su una mano prima di cominciare a giocare con le sue dita dentro di me.

 

     Entrava e usciva, ruotava, si divertiva a sgrillettare, io… impazzivo. D'un tratto si avvicinò e lentamente mi appoggiò la cappella sulle pareti della figa.  

     “Aspetta!” - mi prese in braccio rivolta con gli occhi nei suoi e le gambe aperte. Lo fece entrare…

 

     Io stringevo con le mie mani la sua maglietta poggiando la testa sulla sua spalla e più stringevo più lui si muoveva, fotteva. Su… e giù.

 

     Sentivo le pareti della figa aprirsi, sentivo il suo cazzo entrare… spingere con foga. I suoi movimenti erano sempre più veloci, le sue palle sbattevano sulla mia figa e ne sentivo il rumore. Ero lacerata.

     Dannatamente e piacevolmente abusata...

     Aperta.

     “Sei una puttana!” - continuava a ripetermi. E non mi infastidiva. Iniziai a muovere anche io il mio corpo su e giù a ritmo con il suo cazzo. 

     “Dove ti vengo?” - mi chiese. Ero troppo presa dal mio e il suo ansimare, dalla mia figa che cominciava a grondare eccitata come una fronte sudante. 

     “Dove ti vengo?... Cazzo… Dove ti vengo?... Dimmi dove ti devo venire!” - Io continuavo a muovermi.

     Ancora, ancora e… ancora.

 

     Uscì di botto staccandomi da lui e lasciandomi appoggiare in terra. Passò solo qualche secondo prima che incominciasse a imbrattare di sborra le mie gambe, la mia pancia, la mia figa. La mia figa che godeva dentro di sé del mio piacere mescolato al suo.

 

     Mentre Mattia si ricomponeva velocemente io misi due dita nella mia figa e poi le portai al naso. Quell'odore. Quell'odore era lì, dentro di me, custodito da quanto in quel momento avessi di più caldo. 

     “Mi raccomando, torna a casa che tra poco si fa buio.” - mi disse lui. 

 

     Così mi lasciò lì. Ero stata scopata. Per la prima volta un uomo era entrato dentro di me. Mi aveva eccitata l'idea di essere stata usata per i suoi scopi, ero eccitata dal fatto che non sapessi praticamente nulla di lui, dal fatto di non avere verso di lui alcun dovere da fidanzatina premurosa, nessun convenevole o registro da rispettare.

     Ero stata scopata e mi era piaciuto, punto.

 

 

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